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È a tutti nota l'attenzione che la Pastorale cristiana ha da sempre riservato alla sessualità, definita in funzione del matrimonio, della procreazione, della squalificazione del piacere fine a se stesso, riservando un particolare valore alla verginità e alla castità. Le attestazioni risalgono a una tradizione che si riferisce a un famoso testo, quello della Prima lettera ai Corinzi (7,1), il quale, da due millenni, è al centro di tutte le discussioni circa la sessualità nel mondo cristiano: È cosa buona per l'uomo non toccare donna. Lo sforzo dottrinale durante i primi sei secoli del cristianesimo, non riguardò l'elaborazione di nuovi interdetti riguardo alla sessualità le proibizioni essenziali per i cristiani rimasero le stesse, ossia quelle che da tempo i filosofi e i moralisti pagani andavano sostenendo. Ciò che invece venne messo all'ordine del giorno fu il valore e il significato da dare all'astensione da ogni rapporto sessuale; un'astensione tanto rigorosa che avrebbe dovuto coinvolgere non solo il corpo ma anche il pensiero e lo stesso desiderio. Il quadro teorico che derivò dall'esaltazione della verginità ebbe come conseguenza la formazione di una serie di pratiche che a poco a poco portarono a una ridefinizione del rapporto che il soggetto avrebbe dovuto intrattenere con se stesso, con il proprio pensiero, con la propria anima e il proprio corpo. Questa fu sicuramente la grande novità che i cristiani aggiunsero a quell'immagine austera dell'uomo già propugnata dai filosofi pagani. Possiamo insomma dire che accanto ad un codice morale riguardante i rapporti sessuali già ben definito, i cristiani svilupparono una pratica singolare: quella della verginità. Una pratica che poteva condurre l'uomo e la donna di fede non tanto a governare il proprio corpo quanto piuttosto a trasformarlo in un'entità angelica.

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9798339062806

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