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"Parlare alla gente e della gente è prevalentemente compito e missione di poeti, artisti, avvocati, sociologi, psicologi, antropologi, giornalisti, attivisti politici, o vicari della religione. Pier Paolo Pasolini, come intellettuale, scrittore e regista, si è collocato trasversalmente su tutte queste categorie, contestando le forme di comunicazione - come quelle della televisione ""strumento del potere"" (Pasolini, 1975: 24) - che sottraggono alla gente capacità di analisi critica dello status quo ed una visione obiettiva della loro condizione. Parlare della gente e alla gente in modo da comunicare e farsi capire è, in ogni caso, gramscianamente, un impegno attivo della classe intellettuale marxista che si prefigge lo scopo di commentare la realtà umana dell'universo sociale. Nelle sue rubriche, Pasolini assunse in pieno su di sé la responsabilità di questo ruolo di mediazione dinanzi ai suoi interlocutori, quasi fosse un vero e proprio mandato, e nelle sue opere creative egli visse l'esperienza di parlare anche in nome degli altri, negoziando la sua visione del mondo con quella dei suoi personaggi. Vale, dunque, chiedersi quali furono gli effetti del suo parlare della gente e alla gente in sfere pubbliche come il giornalismo, la letteratura o il cinema. In questo saggio ci si occuperà, pertanto, dell'uso di Pasolini del sermo humilis, ovvero di una forma di espressione semplice, diretta ed accessibile e se ne indicherà l'impiego in quattro film, La ricotta (1962), il Vangelo secondo Matteo (1964), e Teorema (1968). La scelta ricade espressamente su queste tre opere cinematografiche realizzate in successione - prima e dopo Uccellacci e uccellini (1966), di cui si parlerà in un'opera distinta, Singolo e comunità nel film Uccellacci e uccellini - una successione stilistico-tematica, aventi due fulcri interagenti, il sacro e la società."

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9798696367996

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